La Cassazione interviene sulla stepchild adoption

Una sentenza discutibile

Con la sentenza 12962/2016 la Cassazione si è pronunciata sul tema della cosiddetta stepchild adoption, vale a dire sulla adozione, da parte del partner nelle unioni omosessuali, del figlio dell’altro. La materia era disciplinata dal famoso art. 5 del DDL Cirinnà, prima versione, prima del maxi-emendamento su cui il Governo ha messo la fiducia. Ad un primo e pur sommario esame, ‘a caldo’, per così dire, con questa decisione la Suprema Corte pare operare una forzatura interpretativa, in conflitto con la ratio ed il testo della legge sulle adozioni (la n. 184 del 1983), delle disposizioni in tema di adozione in casi particolari (l’art. 44, comma 1, lett. d); fare della eccezione la regola e stravolgere, in senso ‘evolutivo, la ratio della legge sulle adozioni. I giudici della Suprema Corte, infatti, riconoscono la legittimità della stepchild adoption, sulla base di alcune pregnanti ma assai discutibili considerazioni. In primis, secondo la Suprema Corte, a dispetto della colossale bibliografia – in senso opposto - delle scienze pedagogiche, psicologiche e della psichiatria relativamente alla diversa funzione del padre e della madre nello sviluppo del bambino (sicché la mancanza di una delle due figure costituisce in sé un vulnus), non si può ritenere l'omogenitorialità in sé pregiudizievole per il minore, in quanto ciò sarebbe discriminatorio per ragioni di orientamento sessuale. Viene così trascurato il diritto del minore ad avere il proprio padre e la propria madre biologici. Su questo punto, pur affermando la esistenza per il minore di un diritto imprescrittibile a conoscere le proprie radici biologiche, la Cassazione nega la esistenza, nel caso specifico, di un conflitto di interessi e, di conseguenza, la necessità della nomina di un procuratore speciale del minore nel processo. A questa stregua, la via per la genitorialità sociale, e l'adozione per tutti, è aperta. La Cassazione ritiene inoltre che la impossibilità di affidamento preadottivo alla base della stepchild adoption possa essere una impossibilità anche solo di diritto, e quindi valevole anche per i minori che non versino in stato di abbandono (i soli a cui, in via generale, sono destinate le norme in tema di adozione). In realtà, la legge parla di 'constatata' impossibilità di affidamento preadottivo, con ciò evidentemente volendosi riferire a quella precisa fase del procedimento di adozione che segue la dichiarazione di adottabilità di minori che già si trovino in accertato stato di abbandono. La 'constatazione', infatti, è atto che pare palesemente connesso ad una situazione di fatto, e non di diritto. La legge vuole infatti tutelare quei minori che, pur adottabili perché in stato di abbandono, nessuno vuole perché, p. es., affetti da gravi patologie. A quel punto scatta, in modo eccezionale e sussidiario, la possibilità di adozione ‘in casi particolari’. La lettura della norma da parte della Cassazione non pare quindi né limpida, né condivisibile, ma forzata in funzione di una visione ideologica della materia e distante dalla realtà delle cose, dal diritto del bambino e dal diritto naturale in cui tale diritto primariamente risiede. La decisione si pone in linea di continuità con la recente legge sulle unioni civili che, pur dopo lo stralcio dell’art. 5 sulla stepchild adoption, in chiusura del comma 20 dell’articolo unico della Legge 76/2016 fa eloquente riferimento a quanto previsto e consentito dalle norme vigenti ed, evidentemente, alla corrente interpretazione delle stesse. Quella, appunto, che la Cassazione ci ha da ultimo regalato, con buona pace di chi sosteneva che la stepchild adoption fosse fuori dalla Cirinnà. Possiamo infatti dire che ne era presupposta.

(L'immagine è tratta da http://www.gildains.it/news/dettaglio.asp?id=5284)

A conferma delle tesi sopra esposte, si veda, in dottrina, Mario Finocchiaro, "Stepchild adoption: quella 'forzatura' della Cassazione""La tutela del minore andrebbe garantita dal curatore speciale", entrambe in Guida al Diritto, 29/2016, pagg. 14 e 25 e ss. . Ribadisco qui il mio personale terrore dei 'curatori speciali', con particolare memoria a quello nominato per Eluana Englaro, che ne facilitò la morte.